Un numero sempre maggiore di Paesi nel mondo sta procedendo alla legalizzazione della cannabis per diversi scopi, che spaziano dall’uso medico a quello ricreativo. Nel corso dell’ultimo secolo, la diffusione di informazioni fuorvianti su questo tema ha contribuito a plasmare l’opinione pubblica, spesso senza che le persone fossero pienamente consapevoli della distorsione della realtà operata in merito a questa pianta.
È opportuno fare una premessa sulla terminologia: i termini “canapa”, “cannabis”, “marijuana” e “ganja” sono semplicemente denominazioni differenti per indicare la stessa pianta. Le varie denominazioni vengono utilizzate principalmente per distinguere i diversi ambiti di utilizzo: il termine “canapa” si riferisce generalmente all’impiego industriale, “cannabis” è più comunemente utilizzato in ambito medico, mentre “marijuana” o “ganja” si specifica all’uso ricreativo. Sebbene siano impiegati termini diversi, la pianta rimane la stessa, pur presentando caratteristiche e applicazioni differenti.
Alcuni esempi della canapa nel mondo
Molte persone non sanno che prima del 1937 fino a circa 2700 anni a.C. la Cannabis era legale in tutto il mondo ed era considerata “alleata” di tutti.
Nel 2737 a.C. la Cannabis veniva usata nella medicina cinese per trattare inizialmente disturbi ginecologici, costipazione intestinale e mal di testa. Da lì in poi entrò a far parte ufficialmente nella farmacopea mondiale.
Facendo un mega balzo in avanti troviamo George Washington e Thomas Jefferson entrambi presidenti degli USA e coltivatori di Cannabis, che a quei tempi era di primaria importanza, infatti i contadini che possedevano terreni agricoli e che NON la coltivavano venivano puniti con l’arresto.
Persino la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti fu scritta su carta di Canapa.
Non da meno era il primo paio di Jeans Levis che venne assemblato con tasche in tessuto di Canapa, l’unico materiale in grado di resistere al peso delle pepite d’oro dei ricercatori.
Ci fu poi Henry Ford, che fece un’automobile completamente in Canapa, alimentata con etanolo di Canapa; a confronto, le auto elettriche di oggi inquinano più della Hemp Body Car di Ford.

E l’Italia?
Nei primi anni ’90 (prima del proibizionismo) l’Italia era la seconda nazione per produzione di canapa e prima per qualità. Esattamente, la Cannabis migliore, ancora oggi cresce in Italia.
Le regioni più attive erano l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Campania, dove la coltivazione prosperava grazie a condizioni climatiche favorevoli e a una lunga tradizione agricola. La canapa italiana veniva utilizzata soprattutto nell’industria tessile, per la produzione di corde, vele e tessuti robusti, essenziali per la marina e l’industria manifatturiera.
L’Italia esportava grandi quantità di fibra di alta qualità, particolarmente apprezzata in Inghilterra e negli Stati Uniti. Il settore dava lavoro a migliaia di persone, tra agricoltori e artigiani specializzati nella lavorazione della fibra.
Ancora oggi vengono utilizzati termini che richiamano la storia di quel periodo. Tutti hanno utilizzato almeno una volta il “canovaccio”, il classico “straccio” da cucina che tendenzialmente viene utilizzato per asciugare i piatti o per le pulizie di superficie. Il termine “canovaccio” deriva proprio dalla canapa, in quanto era composto da fibre di canapa che grazie al loro spessore e alla loro ruvidezza lo rendeva molto funzionale per gli usi in cucina.
Chi creò il proibizionismo? Quando fu spezzata la cultura della cannabis?
La versatilità della canapa ha generato un effetto boomerang, frutto dell’azione di imprenditori avido e disonesti, i quali, per promuovere i propri interessi, istruirono diversi rappresentanti dello Stato a denigrare questa pianta, contribuendo così alla creazione di uno stigma che, a distanza di un secolo, persiste ancora nella mente di un numero considerevole di persone.
Era l’11 maggio del 1937 e il Senato degli Stati Uniti D’America approvò il Marijuana Tax Act, che venne firmato dal presidente Roosvelt il 2 agosto ed entrò in vigore due mesi dopo. 1° ottobre 1937, l’America per prima vietò la canapa in tutte le sue parti, dalle radici al fiore. Dopo secoli di sviluppo e progresso, la storia della pianta più amata subì una radicale inversione di rotta. Iniziava l’era tragicomica del proibizionismo.
Il primo protagonista della distruzione della cultura della canapa fu William Randolph Hearts, magnate dell’editoria americana, il quale possedeva riviste rosa e decine di quotidiani locali sparsi in tutte le principali città. Lavorando nel settore aveva fiutato un fruttuoso affare: coltivare alberi per la produzione di carta, diventando in pochi anni il principale produttore di cellulosa di tutti gli USA. Ovviamente la canapa era un nemico assoluto in questo, perché era alla portata di tutti e poteva essere utilizzata produrre carta di ogni tipo, senza abbattere nemmeno un albero.

Il secondo protagonista fu Lammot Du Pont, che negli stessi anni con suo fratello Pierre, registrò i brevetti di materiali derivati dal petrolio, come il Nylon, Naflon, Lycra e Teflon, apprestandosi a diventare leader mondiale della petrolchimica di cui ovviamente la Canapa era un nemico dato che tutto quello che viene costruito in plastica e derivati dal petrolio può essere prodotto in bio-plastica di Canapa a impatto zero.
Il terzo protagonista del boicottaggio della canapa fu Andrew Mellon che, guarda caso, aveva finanziato i primi due. Ministro del Tesoro degli USA ma soprattutto proprietario della Gulf Oil, una delle famose “sette sorelle” del petrolio, insomma carburanti. Anche per lui la Canapa era pericolosa, infatti, come aveva dimostrato Henry Ford, l’etanolo di Canapa era un carburante più efficace, pulito ed economico.
Il grande inganno
Ma in che modo riuscirono a distruggere la cultura della canapa? Il ministro del Tesoro, appunto Andrew Mellon, nominò a capo del Federal Bureau of Narcotics il genero Harry J. Anslinger, un burocrate, funzionario e diplomatico di idee puritane, il quale iniziò una vera e propria battaglia contro la canapa. Anslinger venne a conoscenza di un aneddoto che stravolse la vita della canapa per sempre: i messicani, mal visti dagli americani per questioni razziali, iniziarono a fumare il fiore della canapa, e durante questo rito la chiamavano con il nome Marijuana.

Ad Anslinger apparve incredibile avviare una vera e propria campagna discriminatoria nei confronti dei messicani, accusandoli di omicidi efferati e di vari reati, attribuendo la responsabilità al consumo di “marijuana”, termine utilizzato per confondere l’opinione pubblica, la quale non avrebbe mai accettato l’idea di un divieto riguardante la canapa, così come era conosciuta all’epoca. La marijuana veniva persino definita “il fumo assassino”; si trattava di una manipolazione della realtà, poiché era evidente che tali affermazioni erano infondate e che la canapa non era responsabile di alcun reato commesso dai messicani.
A dimostrazione del fatto che il divieto della canapa fu motivato da interessi personali di pochi, si osserva che non fu limitato al solo fiore della pianta, ovvero la parte utilizzata per il fumo, ma si estese a tutta la pianta. Questo provvedimento comportò la sostituzione della canapa, precedentemente considerata sacra in vari settori, con materiali come plastica e carta.
La canapa merita giustizia
Questa è una narrazione che, ad oggi, è ancora poco conosciuta. Si tratta di uno dei più significativi inganni della storia, il quale, a distanza di cento anni dalla sua concezione, è purtroppo radicato nella maggior parte della popolazione. È interessante notare che lo stesso continente che ha originato il proibizionismo dal nulla, oggi comprende numerosi Stati in cui la canapa è completamente legalizzata in tutte le sue forme e utilizzi. Nel contesto italiano, invece, persiste una deplorevole e ridicola caccia alle streghe, sostenuta da un idealismo e dalla supponenza politica. La canapa merita di ricevere giustizia.