Nonostante la documentata sicurezza del CBD, c’è una questione -non secondaria- ancora dibattuta nell’ambito della comunità scientifica: la possibile conversione del CBD in THC, in particolari condizioni di utilizzo.
Sono principalmente tre le particolari condizioni in cui potrebbe avvenire la conversione del CBD in THC: in vivo, in ambiente acido o elevate temperature.
La trasformazione del CBD in THC in vivo, la cosiddetta biotrasformazione, che dovrebbe avvenire, appunto, all’interno di un organismo, sembrerebbe essere del tutto esclusa. A meno di report che sono sfuggiti alla nostra attenzione (e a quella generale), non sono mai state identificate delle pathway enzimatiche, nell’uomo o negli animali, che catalizzano la biotrasformazione del CBD in THC. Inoltre, un recente studio condotto dal gruppo di ricerca del professor Crippa dell’Università di San Paolo (Brasile), ha mostrato che nell’uomo il CBD, quando somministrato per via orale, non è convertito in THC, dato che non sono state trovate tracce di quest’ultimo nel plasma dei soggetti testati. 1
Riguardo la conversione del CBD in THC in ambiente fortemente acido, un articolo del 2007 suggeriva questa ipotesi, successivamente confermata da un altro articolo del 2016. 2 ; 3 In entrambi i casi, per creare delle condizioni di forte acidità, era stato usato del succo gastrico artificiale. Ciò lascia supporre che questa conversione possa avvenire anche nello stomaco dell’uomo. Quest’ipotesi, però, non è mai stata direttamente confermata.
Sempre nel 2016, uno studio in collaborazione tra dipartimenti tedeschi, statunitensi e brasiliani ha anzi confutato questa conclusione, mostrando che, nell’uomo, in seguito alla somministrazione di CBD, non sono rilevate tracce di THC nel sangue. 4
Resta da dirimere l’ultima questione, se il CBD possa essere convertito in THC dalle alte temperature. Uno studio del 2021 sembra avvalorare questa ipotesi.
Ma sarà davvero così?
LO STUDIO UNGHERESE
Lo studio in questione è stato pubblicato su Scientific Report. 5
I ricercatori ungheresi autori del lavoro hanno studiato l’effetto della temperatura sulla conversione del CBD, in un intervallo tipico dei dispositivi di vaporizzazione – 250-400°C – e a 500°C, in presenza o meno di ossigeno. L’esperimento è stato realizzato mediante apposite apparecchiature che, secondo gli autori, mimano le condizioni di una normale “svapata”.
Il risultato è che, a seconda delle condizioni, tra il 25% e il 52% di CBD veniva convertito in altre sostanze, principalmente ∆9-THC, ma anche ∆8-THC, cannabinolo (CBN) e cannabicromene (CBC).
Quindi, secondo questo studio, nelle sigarette elettroniche il CBD è convertito in quantità non trascurabili di THC, sostanza psicotropa e quasi ovunque illegale. Per questo motivo, secondo gli autori, anche la vendita di prodotti a base di CBD per vaporizzazione dovrebbe essere vietata.

Le conclusioni di questo lavoro sembrerebbero inoppugnabili.
Tuttavia, ad un’analisi un po’ più approfondita, qualche dubbio sembrerebbe sorgere. Anzi, più di un dubbio.
CONDIZIONI REALI VS CONDIZIONI ARTIFICIALI
Il prodotto testato dai ricercatori ungheresi, come dichiarato, era CBD puro conservato in metanolo. Come osservato dagli stessi autori, questa non è la condizione reale. Non si può escludere che i liquidi per le sigarette elettroniche impiegati come veicolo per il CBD (tipicamente glicole propilenico e glicerolo, mai metanolo) possano esercitare un effetto “schermante”, in grado cioè di proteggere il CBD da eventuali conversioni e/o degradazioni.
In secondo luogo, gli esperimenti sono stati effettuati in 2 condizioni sperimentali: o in assenza o in presenza di ossigeno, utilizzando in quest’ultimo caso una miscela contenente il 9% di ossigeno e il 91% di azoto.
Gli autori osservano che all’aumentare della concentrazione di ossigeno diminuisce il THC convertito. Anche in questo caso, il “setting” sperimentale si discosta notevolmente dalle condizioni di reale utilizzo di una sigaretta elettronica, considerando che, mediamente, la concentrazione di ossigeno nell’aria è intorno al 21% (e quella di azoto al 78%). Potrebbe essere questa una concentrazione tale da impedire o minimizzare la conversione? Questo non si sa e non si evince dallo studio. Comunque, anche in questo caso traslare questi dati ottenuti in laboratorio nella vita reale sembrerebbe una forzatura.
Inoltre, il metodo di pirolisi utilizzato nello studio prevedeva che il CBD restasse ad elevate temperature per un tempo di 5 minuti. Anche in questo caso, la differenza tra 5 minuti ad elevate temperature e i pochi secondi realmente impiegati per “un tiro” di sigaretta elettronica, sembrano eliminare la possibilità di poter applicare i dati ottenuti in laboratorio ad esperienze reali.
C’è anche di più. Uno studio del 2019, effettuato sull’uomo, in condizioni quindi reali, giunge a risultati opposti. 6

In questo studio, è stato analizzato il plasma di 8 volontari sani, dopo che avevano inalato da una sigaretta elettronica contenente 1mg/mL di CBD. Sia dopo 15 minuti che dopo 45 minuti, non sono state rilevate tracce di THC o analoghi nel sangue dei volontari.
Infine, un analisi condotta nel 2014 da laboratori indipendenti nella Repubblica Ceca, per conto dell’azienda Cannabis Pharma, sembra smentire ulteriormente i risultati dello studio ungherese.
Anche in questo caso è stata utilizzata un’apparecchiatura artificiale per simulare la “svapata”, ma ogni tiro durava 2 secondi. Siamo quindi in condizioni più vicine a quelle mediamente impiegate per un tiro di sigaretta elettronica. In questo caso, è stata osservata solo la presenza del CBD nell’aspirato, mentre non sono stati rilevati altri composti, né conosciuti né di eventuale nuova sintesi. (articolo completo su cannabiscienza.it)