Editoriale

Quando la terapia medica manca, l’autoproduzione non costituisce reato

Con problemi di artrite reumatoide aveva deciso di coltivare piante di cannabis nel periodo Covid quando nelle farmacie non arrivavano i medicinali. La vicenda giudiziaria di un 45enne di Supersano (in Salento) si chiude con un’assoluzione nonostante una richiesta di condanna di 8 mesi.

Sul banco degli imputati era finito con le accuse di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Problemi di salute: lui e il figlio. I due uomini alleviavano i sintomi delle loro patologie con cannabinoidi regolarmente prescritti ma i farmaci, in pieno Covid, erano di difficile reperimento.

Dopo l’arresto del più grande dei due, il processo. In cui sono state acquisite le dichiarazioni del farmacista a cui il 45enne salentino si rivolgeva per ricevere il medicinale a base di cannabinoidi.

Il teste ha confermato i gravi disagi durante la pandemia nel reperire i medicinali di cui aveva e ha ancora bisogno l’imputato: il 45enne e il figlio, infatti, sono ancora in cura da anni con farmaci a base di cannabinoidi regolarmente prescritti: il primo serve per lenire gli effetti dell’artrite reumatoide che, nel suo caso, è resistente ad antinfiammatori e cortisonici; il secondo per limitare gli effetti dell’epilessia, farmacoresistente.

Premiata la tesi difensiva dell’avvocato Antonio Venneri: si fondava sull’assunto che il 45enne aveva iniziato a coltivare marijuana perché nel periodo dell’arresto, in piena pandemia, era particolarmente difficile reperire il farmaco, per la mancanza di forniture da parte delle case produttrici.

Da qui la necessità di autoprodurre marijuana: in assenza, i sintomi della malattia avrebbero impedito persino all’imputato di alzarsi e di lavorare. (corrieresalentino.it)

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