ITALIA

Il governo approva il Decreto Sicurezza: facciamo chiarezza

Dopo la battuta d’arresto al Senato del disegno di legge sulla sicurezza, il Governo italiano ha deciso di procedere con l’adozione di un Decreto Sicurezza d’urgenza, sostituendo il precedente provvedimento legislativo. La decisione è stata motivata dalla presunta necessità di garantire la sicurezza, ma solleva numerose perplessità dal punto di vista democratico.

Premessa: si invitano tutti gli operatori del settore, pur comprendendo la complessità del momento, a non adottare decisioni affrettate. È auspicabile attendere gli sviluppi previsti per la giornata di lunedì, nonché le successive evoluzioni. Si raccomanda inoltre di seguire con attenzione, nei prossimi giorni, le comunicazioni ufficiali da parte delle associazioni di categoria e dei rispettivi consulenti legali.

Per acquisire efficacia, il decreto dovrà essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Entrerà in vigore il giorno successivo alla pubblicazione e, da quel momento, il Parlamento avrà 60 giorni di tempo per convertirlo in legge. In assenza di conversione, il decreto decadrà.

Attualmente non è ancora nota la data precisa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Tuttavia, le ipotesi più accreditate suggeriscono che la firma del Presidente della Repubblica possa avvenire entro lunedì, con la pubblicazione già martedì. In tal caso, i controlli, le sanzioni e gli eventuali sequestri potrebbero iniziare immediatamente, senza attendere i consueti 15 giorni prima dell’entrata in vigore, previsti in altre occasioni (come nel caso del nuovo Codice della Strada).

Nel concreto, qualora le tempistiche fossero confermate, a partire da martedì sarebbero vietate le attività di importazione, cessione, trasformazione, distribuzione, commercio, trasporto, spedizione e consegna delle infiorescenze di canapa industriale. A tali condotte verrebbero applicate le sanzioni penali e amministrative previste dal Titolo VIII del DPR 309/1990. Il divieto si estenderebbe anche a derivati come estrazioni, resine e oli.

Questa decisione appare profondamente ideologica, in netto contrasto con le previsioni della stessa legge 309/1990, la quale non contempla sanzioni specifiche per infiorescenze di canapa industriale con un contenuto di THC pari o inferiore allo 0,5%. Si tratta, dunque, di un’interpretazione forzata, priva di fondamento giuridico coerente.

Analogamente a quanto già avvenuto con il caso delle estrazioni di CBD, esiste il concreto rischio di un’escalation di sequestri e denunce, che si concluderebbero con sentenze di assoluzione o archiviazione per insussistenza del fatto, con notevole dispendio di risorse pubbliche e danni ingenti per gli operatori del settore.

Il provvedimento rischia inoltre di cancellare con un colpo solo l’intero comparto produttivo della canapa industriale, costituito da oltre 30.000 lavoratori e 3.000 aziende, regolarmente censiti dal 2016 anche a fini fiscali. Il comparto rappresenta un indotto economico di circa 2 miliardi di euro annui e un gettito fiscale di 360 milioni di euro.

Un ulteriore effetto collaterale drammatico potrebbe essere il ritorno di tale economia nelle mani della criminalità organizzata, compromettendo anni di legalità e progresso. Le mafie ringraziano.

Si configura, inoltre, un vero e proprio attacco alla democrazia: classificare come stupefacente una sostanza che non lo è scientificamente equivale a un abuso legislativo che apre pericolosi precedenti. Oggi si colpisce la canapa, ma domani?

Di fronte a tale scenario, quali opzioni restano agli imprenditori del settore?

  • Cessare l’attività, rinunciando al proprio lavoro e al diritto costituzionalmente garantito al lavoro.
  • Attendere, cercando modalità “alternative” per proseguire temporaneamente l’attività, in attesa di chiarimenti normativi e iniziative legali.
  • Disobbedire, ovvero continuare a operare alla luce del sole, assumendosi consapevolmente il rischio di sanzioni, nella speranza che la giustizia confermi l’assenza di reato.

Qualunque sia la scelta individuale, esprimiamo piena solidarietà agli operatori del settore e alle loro famiglie. Riconosciamo il valore del loro lavoro e condividiamo la preoccupazione per una misura che pare più orientata alla repressione ideologica che alla tutela della sicurezza pubblica.

Confidiamo nel pronto intervento delle associazioni di categoria e dei legali di settore, affinché venga posto rimedio a quanto deliberato. Confagricoltura ha già richiesto l’apertura di un tavolo di confronto urgente per discutere le disposizioni dell’art. 18 del decreto. È fondamentale che si consideri non solo la filiera agricola, ma anche quella commerciale. Non sorprenderebbe che un governo scellerato come quello attuale possa tendere una mano all’agricoltore e non al commerciante.

Secondo l’avvocato Lorenzo Simonetti, rappresentante dell’associazione Tutela Legale Stupefacenti, la battaglia legale intrapresa dagli imprenditori del settore canapicolo sarà destinata al successo grazie a tre argomentazioni fondamentali:

  1. Assenza di evidenze scientifiche sull’efficacia drogante: non esiste, ad oggi, alcuna prova scientificamente valida che dimostri l’effetto stupefacente delle infiorescenze di canapa industriale nei limiti di legge.
  2. Violazione del principio di armonizzazione normativa europea: l’Italia si porrebbe come unico Stato membro dell’Unione Europea a vietare l’attività imprenditoriale legata alla produzione e commercializzazione di infiorescenze di canapa industriale, contravvenendo ai principi di concorrenza e di libertà d’impresa sanciti a livello comunitario.
  3. Consolidata giurisprudenza nazionale: la quasi totalità dei tribunali italiani ha ormai riconosciuto lo status agricolo della canapa industriale, escludendone l’efficacia drogante e distinguendola chiaramente dalle sostanze stupefacenti disciplinate dal DPR 309/1990.

L’Italia, con questo provvedimento, compie un grave passo indietro, sacrificando l’innovazione e l’equilibrio economico in nome della repressione. La domanda che sorge spontanea è: come può uno Stato di diritto trasformare un imprenditore in un criminale senza che questi abbia modificato la propria condotta?

Quello varato non è un Decreto Sicurezza. È, piuttosto, un Decreto della Vergogna.

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