Occorre una notevole dose di audacia per celebrare il “Made in Italy” a pochi giorni dall’entrata in vigore del Decreto Sicurezza e del suo articolo 18, il quale di fatto minaccia di smantellare l’intera filiera della canapa industriale, con il rischio concreto di lasciare senza occupazione circa 30.000 lavoratori e determinare la chiusura di oltre 3.000 aziende. Tuttavia, tale scenario sarà verosimilmente scongiurato grazie alla determinazione degli operatori del settore, al lavoro delle associazioni di categoria e all’impegno dei rispettivi legali.
L’attuale esecutivo potrebbe a buon diritto essere definito “governo dello spreco”, poiché sta volontariamente rinunciando a un comparto in cui l’Italia possiede tutte le caratteristiche per primeggiare a livello internazionale, come già avvenne nei primi decenni del Novecento. Questo atteggiamento equivale a un vero e proprio regalo agli stati esteri concorrenti.
È necessario partire da un presupposto chiaro: la regolamentazione e legalizzazione del settore della cannabis, in tutte le sue forme, è un processo destinato a concretizzarsi anche in Italia. Tale previsione è supportata dall’esempio di diversi paesi europei, tra cui Germania e Svizzera, che stanno già adottando un approccio normativo moderno e pragmatico. Tuttavia, l’arretratezza ideologica – probabilmente alimentata da specifici interessi politici ed economici – rischia di farci giungere a questo traguardo in ritardo, quando il mercato sarà ormai dominato da operatori esteri.
Si sta così consumando un grave spreco di opportunità economiche, occupazionali e sociali, con danni significativi per il tessuto produttivo nazionale e per i cittadini stessi. Le istituzioni italiane, perseguendo obiettivi politici di parte, stanno di fatto contribuendo a un arretramento economico, laddove invece avrebbero il dovere di favorire lo sviluppo e la crescita sostenibile del Paese.
La canapa ha rappresentato un punto di forza nella storia economica italiana e, se adeguatamente normata, potrebbe nuovamente attrarre importanti investimenti internazionali, generando migliaia di posti di lavoro e un indotto miliardario utile a risanare settori in crisi come la sanità, l’istruzione e le aree periferiche.
È legittimo ipotizzare che, oltre alle evidenti motivazioni economiche e politiche, l’avversione istituzionale nei confronti della canapa derivi anche dal suo valore simbolico e culturale. Negli ultimi anni, infatti, la pianta ha ritrovato spazio nel tessuto sociale italiano attraverso la filiera industriale, contribuendo a una nuova consapevolezza collettiva. Tale riscoperta, però, non si allinea con gli interessi di alcune multinazionali, né con quelli di esponenti politici che da esse ricevono sostegno.
In definitiva, se si tratta di vino (alcol responsabile di circa 2,8 milioni di decessi annui a livello globale) il “Made in Italy” viene giustamente tutelato. Ma se si parla di canapa (priva di effetti letali accertati nella storia) si ritiene legittimo sacrificarne la filiera sull’altare dell’ideologia e della convenienza politica, a danno di un intero settore produttivo e della cittadinanza.
Roberto D’Aponte – Direttore di Spazio Canapa