Ad oggi, in Italia l’aria è molto tesa per quanto riguarda il settore della cannabis, tra decreti, incertezze giuridiche ed emendamenti, vige un malcontento generale.
Vi proponiamo un’intensa panoramica sulla situazione in Italia, con le parole del nostro direttore, (nonché fondatore di Salute di Canapa) il quale ha espresso il suo punto di vista su diverse tematiche riguardanti il settore lavorativo più discusso e controverso.
Incertezza del quadro normativo
L’incertezza del quadro normativo sulla cannabis light in Italia genera numerose sfide per produttori, rivenditori e consumatori.
La principale critica riguarda la mancanza di chiarezza giuridica. L’assenza di una normativa ben definita espone le aziende del settore a rischi legali e possibili sanzioni, ostacolando così gli investimenti e rallentando la crescita del mercato.
Un ulteriore problema significativo è la difficoltà di controllo. L’assenza di regole precise sulla produzione, vendita e consumo della cannabis light rende complesso il monitoraggio del settore da parte delle autorità e la tutela dei consumatori. Questa situazione può favorire la diffusione di prodotti di dubbia qualità o non conformi alla legge. Inoltre, le diverse interpretazioni normative adottate dagli organi di controllo generano un’incertezza giuridica che rende difficile per gli imprenditori operare serenamente, con il rischio di subire ripercussioni ingiustificate.
Un altro aspetto critico è la scarsa e distorta informazione rivolta ai consumatori, che spesso non dispongono di indicazioni chiare sulla legalità del settore. Questo comparto è oggetto di attacchi continui da parte del governo, privi di basi logiche, scientifiche e giuridiche. La confusione è ulteriormente alimentata dai mezzi di informazione, che diffondono notizie imprecise o fuorvianti, contribuendo a creare allarmismo.
Dopo sei anni di esperienza nel settore, mi ritrovo ciclicamente a dover rispondere a numerose richieste di chiarimento da parte di clienti preoccupati, convinti che da un giorno all’altro non potranno più acquistare i nostri prodotti. Questa incertezza normativa non danneggia solo le imprese, ma mina anche la fiducia dei consumatori, rallentando lo sviluppo di un settore che potrebbe rappresentare un’opportunità economica rilevante per il Paese.

Infine, un ulteriore ostacolo è rappresentato dalle limitazioni imposte alla ricerca scientifica. L’incertezza normativa frena gli studi sugli effetti della cannabis light e dei suoi derivati, impedendo di approfondirne le potenziali proprietà benefiche. Tali prospettive destano preoccupazione tra le grandi aziende farmaceutiche, le quali, avvalendosi dell’influenza politica, sembrano impegnate da tempo nel garantirsi una posizione di predominio su questo settore.
Attualmente, la vera forza risiede nelle persone, nei consumatori che scelgono di guardare oltre le barriere imposte dal potere, sostenendo le imprese che lavorano a favore del benessere collettivo.
Dimensioni e prospettive di crescita del mercato
Il mercato italiano della cannabis è attualmente dominato dal segmento terapeutico, sebbene il settore della cannabis light stia registrando una rapida crescita. Tuttavia, stimare con precisione la spesa globale per la cannabis terapeutica risulta complesso, in quanto mancano dati aggregati dettagliati. Inoltre, la diversificazione dei canali di acquisto e l’assenza di un monitoraggio sistematico dei prodotti a base di CBD, che potrebbero incidere significativamente sui volumi complessivi, rendono difficile una valutazione accurata.
Si stima che la spesa media annua per paziente si aggiri intorno ai 1.200 euro, con circa 65.000 pazienti in Italia e un fabbisogno nazionale di cannabis medica pari a circa 1.700 chilogrammi all’anno.
La produzione nazionale di cannabis medica è ancora limitata, sebbene sia prevista un’espansione grazie all’aumento delle quote produttive concesse dal Governo. Tuttavia, tali incrementi risultano ancora marginali rispetto alle necessità del mercato. Di conseguenza, lo Stato italiano continua a importare la maggior parte della cannabis medica dall’estero, un fattore che incide negativamente sul costo finale per i pazienti, limitandone l’accessibilità.

Per quanto riguarda la cannabis a uso ricreativo, la situazione in Italia è molto lontana da una regolamentazione. Tuttavia, il potenziale di crescita di questo settore potrebbe generare benefici significativi sia per le finanze pubbliche sia per l’occupazione. Nel 2021, il mercato illegale della cannabis nel Paese è stato stimato intorno ai 6 miliardi di euro, una cifra che attualmente alimenta le organizzazioni criminali. La legalizzazione, invece, permetterebbe di dirottare tali risorse nelle casse dello Stato e di creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro nel primo anno.
Per quanto riguarda il mercato del CBD in Italia, il settore ha ormai superato la sua fase iniziale e si prevede che possano superare i 600 milioni di euro di valore entro il 2025. Negli ultimi due anni, questo mercato ha registrato una forte espansione e attualmente impiega circa 15.000 lavoratori.
L’ulteriore sviluppo del settore del CBD, così come la possibilità di una futura legalizzazione della cannabis ricreativa, potrebbe essere favorito da diversi fattori, tra cui una corretta informazione sui benefici della cannabis, la prevenzione di un eventuale monopolio da parte delle case farmaceutiche e l’evoluzione di un quadro normativo più chiaro a livello internazionale.
Modello applicabile di regolamentazione del mercato
Quando si discute di legalizzazione o liberalizzazione della cannabis, non esiste un modello di regolamentazione universalmente perfetta. Ogni Paese adotta l’approccio più adatto alla propria realtà, tenendo conto di fattori culturali, storici, politici e sociali.
In Italia, ritengo che sia necessaria una regolamentazione basata sulla legalizzazione e sulla tassazione. Il Paese necessita di nuove entrate fiscali e di un controllo statale efficace del settore, attraverso enti preposti e adeguatamente formati. Sebbene la liberalizzazione rappresenti l’opzione più coerente dal punto di vista etico, appare poco probabile che venga attuata nel prossimo futuro. È invece verosimile che, con il tempo, si vada verso un modello di monopolio sulla cannabis.
Per definire un modello di legalizzazione adeguato, è fondamentale considerare anche l’opinione pubblica. Un sistema che non gode di sufficiente sostegno da parte dei cittadini rischiando di essere difficile da implementare. Attualmente, l’informazione sulla cannabis è ancora distorta da decenni di disinformazione, pertanto, prima ancora di discutere di un quadro normativo, sarebbe necessario un ampio processo di sensibilizzazione basato su dati scientifici e obiettivi. L’Italia potrebbe trarre insegnamenti dalle esperienze di Paesi che hanno già intrapreso la strada della legalizzazione, come il Canada, l’Uruguay, i Paesi Bassi o, più recentemente, la Germania.
Un’alternativa adottata in alcuni Paesi è la depenalizzazione, un modello in cui il possesso e il consumo di piccole quantità di cannabis non sono soggetti a sanzioni penali, pur senza una vera e propria regolamentazione del mercato. Questo approccio è stato adottato, ad esempio, in Spagna e Portogallo. Sebbene comprenda le motivazioni di questa scelta, ritengo che sia stata introdotta principalmente per ridurre la popolazione carceraria e alleggerire il carico di lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura. Tuttavia, questo modello presenta un’incongruenza logica: permette il possesso e il consumo di una sostanza senza prevedere una regolamentazione chiara sulla sua produzione e distribuzione.
L’auspicio per l’Italia è l’adozione di un modello di legalizzazione e regolamentazione simile a quello implementato in Canada e nei Paesi Bassi. In questo sistema, la cannabis sarebbe legalizzata sia per uso terapeutico che ricreativo, mentre la produzione, la vendita e il consumo verrebbero regolamentati attraverso un sistema di licenze e tassazione. È essenziale, tuttavia, che il rilascio delle licenze non sia basato esclusivamente su criteri economici, ma anche sulla formazione professionale, garantendo così un settore gestito da operatori qualificati e competenti.
Accesso alla cannabis terapeutica in Italia
L’accesso alla cannabis terapeutica in Italia rappresenta, per molti pazienti, un percorso estremamente complesso e tortuoso. Il primo ostacolo è trovare un medico disposto a prescriverla. Sebbene tutti i medici abbiano la facoltà di prescrivere la cannabis a scopo terapeutico, il numero di professionisti che lo fanno è ancora limitato. Questo è dovuto principalmente a una scarsa formazione sull’argomento, a pregiudizi radicati o, in alcuni casi, a legami particolarmente stretti con le case farmaceutiche, che possono influenzare le loro scelte terapeutiche.
Inoltre, le attuali linee guida prevedono che la cannabis terapeutica venga prescritta solo come ultima risorsa, ossia dopo aver sperimentato senza successo tutti i trattamenti convenzionali disponibili. Questa impostazione appare irrazionale, considerando che molti farmaci tradizionali presentano effetti collaterali e controindicazioni ben più gravi rispetto alla cannabis. Tuttavia, questa rigidità normativa sembra essere il risultato dell’influenza esercitata dalle lobby farmaceutiche, che contribuiscono a mantenere una regolamentazione restrittiva in materia.

Dopo aver ottenuto la prescrizione medica, i pazienti devono affrontare un’ulteriore sfida: reperire una farmacia che disponga della cannabis terapeutica. Tuttavia, la situazione risulta particolarmente complessa, poiché non tutte le farmacie sono autorizzate o attrezzate per distribuirla. Anche tra quelle che lo fanno, le scorte disponibili spesso non sono sufficienti a soddisfare la domanda dei pazienti, creando frequenti difficoltà di approvvigionamento.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dal costo del trattamento, che può variare significativamente da regione a regione, raggiungendo anche i 30 euro al grammo. Questa cifra risulta insostenibile per molti pazienti che necessitano di terapie continuative. L’elevato costo è in gran parte dovuto alla limitata produzione nazionale, che costringe lo Stato a importare la cannabis terapeutica dall’estero, con un conseguente aumento dei prezzi a carico del paziente.
Emendamento che vieta la cannabis light
Da anni, con cadenza almeno annuale, il partito politico di turno propone normative restrittive riguardanti il settore della cannabis light. Tuttavia, tali iniziative sembrano mirare più a generare timore tra gli operatori del settore che una reale applicazione delle misure proposte. Dal punto di vista giuridico, scientifico e logico, vietare la cannabis light risulta priva di fondamento, poiché si tratta del fiore di una pianta privata di effetti stupefacenti. Un divieto di questo tipo sarebbe tanto insensato quanto vietare il basilico.
È plausibile che gli stessi promotori di tali provvedimenti siano consapevoli dell’impraticabilità di tali restrizioni. Il loro vero obiettivo sembrerebbe essere quello di scoraggiare gli imprenditori del settore, spingendoli ad abbandonare la propria attività, e al tempo stesso dissuadere potenziali investitori dall’ingresso in un mercato percepito come incerto e instabile.
Sfortunatamente, questa strategia politica, anche se solo in parte, riesce nel suo intento, soprattutto nel disincentivare nuovi investimenti. Numerosi imprenditori con solida disponibilità economica hanno manifestato interesse a investire nel settore della cannabis, ma sono stati frenati dalla continua instabilità normativa e dai pregiudizi alimentati da dichiarazioni istituzionali.

Se il settore della cannabis fosse adeguatamente regolamentato e normalizzato, assistemmo ad una crescita esponenziale delle attività imprenditoriali, con un conseguente aumento delle opportunità lavorative. Questo scenario rappresenta una potenziale sfida per il governo, che attualmente deve gestire una realtà occupazionale di circa 15mila lavoratori nel settore. Se tale numero dovesse aumentare in modo significativo, ad esempio raggiungendo le 150mila unità, il controllo del settore da parte delle istituzioni diventerebbe estremamente complesso.
Ritengo con convinzione che il reale obiettivo della classe politica non sia quello di vietare la cannabis per ragioni di tutela della salute pubblica, bensì per garantire interessi di natura economica e politica. Non si tratta di una questione di ingenuità, ma piuttosto di una strategia deliberata.
Criminalizzazione dei consumatori di cannabis
Il dibattito su questo tema potrebbe protrarsi a lungo, e si potrebbero citare innumerevoli esempi di come ad esempio l’alcol venga pubblicizzato in molteplici forme, nonostante sia responsabile di circa tre milioni di decessi all’anno a livello globale. Lo stesso discorso vale per il tabacco e il gioco d’azzardo, entrambi i settori che, pur avendo un impatto negativo sulla salute pubblica e sulla società, godono di una regolamentazione che ne consente la diffusione.
In sintesi, ritengo che nel corso degli anni si sia radicato un pregiudizio difficile da sradicare, io la chiamo dissonanza cognitiva collettiva. Bere alcol in eccesso viene spesso tollerato, se non addirittura normalizzato, mentre il consumo di cannabis è stigmatizzato e associato all’idea di devianza. Questa criminalizzazione dell’utilizzo della cannabis rientra in una strategia più ampia, dettata da chi detiene il potere e opera in sinergia con gruppi di interesse economico, lobby e, in alcuni casi, organizzazioni criminali.
CBD nella tabella dei farmaci stupefacenti
Ci troviamo di fronte a una situazione critica. I giudici hanno rinviato la decisione a settembre, ma nel frattempo il governo sembra agire con arbitrio e autoritarismo, assumendo un atteggiamento che potrebbe essere definito quantomeno coercitivo.
Ritengo che si tratti dell’ennesima strategia finalizzata a creare incertezza e timore all’interno del settore, analogamente a quanto avvenuto con l’emendamento che propone il divieto della cannabis light. Tuttavia, in questo caso il rischio appare ancora più elevato: le istituzioni sembrano rispondere agli interessi delle grandi multinazionali farmaceutiche, le quali puntano a ottenere il monopolio sul mercato del CBD. Su questo fronte, è probabile che la battaglia si riveli particolarmente complessa e difficile da contrastare.

Ribadirò sempre con fermezza che il governo italiano mantiene legami stretti con l’industria farmaceutica e che molti esponenti politici, anziché operare nell’interesse dei cittadini, sembrano orientare le proprie scelte esclusivamente alla tutela della propria posizione, spesso in cambio di favori.
Difficile trovare altre spiegazioni di fronte a un Paese che sembra voler diventare il primo al mondo a classificare il CBD come una sostanza stupefacente, in aperta contraddizione con ogni evidenza logica, giuridica e scientifica, oltre che in contrasto con le linee guida europee.
Le preoccupazioni per il futuro del settore
Ritengo che assisteremo ancora per qualche anno ad un contesto normativo caratterizzato da misure repressive e anacronistiche. Tuttavia, è inevitabile che anche in Italia, prima o poi, la cannabis venga legalizzata, in linea con quanto già avvenuto in diversi Paesi europei. Ciò che rammarica è il rischio che il nostro Paese arrivi ultimo in un settore in cui avrebbe tutte le potenzialità per emergere come leader a livello globale.
Attualmente, la principale fonte di preoccupazione riguarda l’influenza esercitata dalle multinazionali farmaceutiche, che, attraverso la leva politica, potrebbero tentare di ottenere il monopolio sul settore, partendo dagli estratti di CBD, attualmente l’elemento centrale del mercato della cannabis light in Italia. Per contrastare questa prospettiva, è fondamentale continuare a fare affidamento sul lavoro degli avvocati specializzati e delle associazioni di settore, che fino ad oggi hanno svolto un ruolo cruciale nella tutela del comparto.
Il lavoro degli imprenditori del settore
Per quanto riguarda il ruolo delle associazioni e degli attivisti, non posso che esprimere la mia stima nei confronti di chi si impegna in questa causa. Tuttavia, auspicherei una maggiore coesione tra le varie realtà attive nel settore. Ritengo inoltre che, quando questi movimenti si intrecciano con la politica, sia fondamentale adottare una strategia comunicativa ancora più efficace e incisiva, altrimenti si corre il rischio di perdere rilevanza e di essere progressivamente relegati ai margini del dibattito pubblico.
Sul fronte delle attività commerciali, il periodo di espansione del settore tra il 2018 e il 2020 ha messo in luce una serie di dinamiche sorprendenti. Molti imprenditori si sono lanciati in questo mercato con aspettative poco realistiche, considerandolo una semplice moda passeggera o credendo erroneamente che la vendita di cannabis light garantisse facili guadagni. Un numero significativo di questi investitori ha scelto di dedicarsi alla coltivazione piuttosto che alla vendita al dettaglio, generando così un eccesso di offerta rispetto alla domanda, con conseguente collasso del mercato.
A seguito di questa saturazione e degli eventi critici del 2020, numerose aziende – in particolare quelle meno solide dal punto di vista economico e gestionale – sono state costrette a chiudere. Questo ha portato a una naturale selezione del mercato, lasciando spazio a quelle realtà che, a mio avviso, avevano le competenze e la professionalità necessarie per resistere nel lungo periodo.
Attualmente, ritengo che l’offerta dei coltivatori sia ancora superiore alla domanda da parte dei rivenditori. Per questo motivo, consiglio a chiunque voglia investire in questo settore con passione e risorse economiche, di considerare l’apertura di un punto vendita piuttosto che l’avvio di un’attività agricola.

Fin dall’inizio della mia attività, ho adottato un approccio metodico e strategico, con l’obiettivo di andare oltre il concetto di semplice negozio di cannabis o grow shop destinato esclusivamente a un pubblico già consapevole. Ho cercato, con gradualità e sensibilità, di avvicinare a questo settore anche coloro che non avevano una conoscenza limitata o assente, ottenendo riscontri concreti e positivi. Oggi collaboriamo con medici, psicologi e altre figure professionali, nel pieno rispetto delle loro competenze, evitando qualsiasi interferenza nel loro ambito di specializzazione.
Ritengo che questo settore deve basarsi su competenza e professionalità per mantenere e consolidare la propria credibilità . È fondamentale essere presenti sul territorio in modo trasparente e visibile, normalizzando la nostra presenza all’interno del tessuto sociale, proprio come avviene per istituzioni consolidate quali scuole o luoghi di culto.
Un esempio emblematico è rappresentato da catene come McDonald’s o Burger King: pur offrendo prodotti di discutibile qualità dal punto di vista nutrizionale, hanno saputo radicarsi ovunque, diventando punti di riferimento per milioni di consumatori. Allo stesso modo, chi opera nel settore della cannabis non dovrebbe temere di aprire un’attività in qualsiasi contesto urbano. Con il tempo, la percezione cambierà e la nostra realtà non sarà più vista come “un’eccezione”, bensì come parte integrante della quotidianità.
Roberto D’Aponte – Fondatore di Salute di Canapa e direttore di Spazio Canapa