Il Ministero della Difesa ha reso pubblico un bando per la coltivazione della cannabis terapeutica, aprendo la possibilità agli operatori privati di entrare nel settore dopo un iter autorizzativo complesso. Una decisione che rappresenta un progresso significativo per i pazienti italiani, sebbene presenti alcune criticità.
Il documento ufficiale pubblicato sul sito del Ministero riporta la dicitura “Procedura ristretta”, evidenziando sin da subito le numerose limitazioni imposte all’affidamento del “Servizio di coltivazione di piante di cannabis per la fabbricazione di medicinali e di materie prime farmaceutiche”.
Attualmente, la produzione annua di cannabis terapeutica in Italia è di soli 100-150 chilogrammi, una quantità decisamente insufficiente rispetto alla domanda, che si aggira intorno alle 3 tonnellate l’anno. A oggi, l’unico ente autorizzato alla coltivazione è lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (SCFM).
Dal 2015, lo SCFM coltiva e produce cannabis destinata a trattamenti per patologie come sclerosi multipla, morbo di Parkinson, corea di Huntington e sindrome di Gilles de la Tourette. Inoltre, questa sostanza si è dimostrata efficace nella gestione di alcune forme di epilessia, nel trattamento del dolore cronico e nel contrasto agli effetti collaterali della chemioterapia, come nausea e vomito. Considerando la crescente richiesta e le comprovate applicazioni terapeutiche, il bando può essere visto come una notizia positiva, sebbene presenti diversi ostacoli.
Le aziende interessate, infatti, dovranno affrontare un sistema fortemente restrittivo che rischia di incoraggiare molti potenziali candidati. Sebbene il progetto sia un segnale di apertura, la sua effettiva attuazione risulta complicata. Secondo le indicazioni del bando, gli operatori hanno tempo fino al 27 giugno 2022 per presentare domanda, un periodo piuttosto breve – appena due mesi – per organizzarsi e dimostrare di possedere i requisiti richiesti. Tra questi, la disponibilità di un impianto di coltivazione indoor e un team di personale già formato e pronto all’attività.
Gli operatori economici selezionati dovranno superare un iter suddiviso in quattro fasi principali: una valutazione qualitativa iniziale, un’ispezione tecnica per accertarne l’idoneità, la conferma della manifestazione d’interesse con successiva trasmissione degli inviti alla procedura ristretta, e infine una fase sperimentale con valutazione finale.
Indipendentemente dal numero di candidati idonei, la procedura rimarrà invariata anche nel caso in cui venga selezionato un solo operatore. Inoltre, il bando impone l’utilizzo di lampade al sodio, nonostante le lampade LED garantiscano un minore consumo energetico. È richiesta anche una capacità produttiva di almeno 500 chilogrammi annui, un obiettivo ambizioso se confrontato con i volumi attuali dello SCFM.
Alla luce di queste condizioni, il bando, atteso da tempo, rischia di rivelarsi un’occasione mancata. Anziché semplificare il processo per rispondere all’elevata domanda di cannabis terapeutica, impone vincoli stringenti che potrebbero rallentare ulteriormente la produzione di un prodotto di riconosciuto valore medico, ma ancora scarsamente accessibile.