Negli ultimi anni, l’interesse per la canapa è cresciuto esponenzialmente in tutto il mondo, alimentato da nuove scoperte scientifiche, dibattiti normativi e il rinnovato slancio verso la sostenibilità. Tuttavia, questa pianta straordinaria porta con sé una storia complessa, fatta di antiche tradizioni, proibizioni ingiustificate e un potenziale ancora tutto da esplorare.
Il libro che presentiamo oggi – Una Pianta ci Salverà di Matteo Mantero, ex Senatore della Repubblica italiana – si propone di fare chiarezza su questo tema, offrendo un’analisi della canapa sotto molteplici aspetti: dalla sua storia, alle applicazioni alle implicazioni economiche e legislative. Attraverso un approccio rigoroso e documentato, l’autore ci guida in un viaggio alla scoperta della pianta amica di tutti, sfatando miti e mettendo in luce le straordinarie opportunità che questo esemplare naturale può offrire alla società moderna.
L’ex Senatore ha cortesemente risposto alle poche ma significative domande che gli abbiamo rivolto.
Lei chi è?
Al momento sono un papà e un autore di romanzi e prodotti audiovisivi, e questo muove molte delle mie azioni. In passato sono stato parlamentare, prima alla Camera e nella scorsa legislatura al Senato. Sono entrato in Parlamento con il M5S, ma le nostre strade si sono separate dopo la scellerata fiducia al governo Conte. Da quel momento ho avuto il piacere di essere il primo, e al momento unico, rappresentante in Parlamento di un piccolo partito molto vicino alle persone: Potere al Popolo.

Nei miei anni in Parlamento mi sono occupato di molte tematiche: sanitarie, ambientali, sociali. La maggior parte di esse sono legate ai diritti civili. Ho il grande onore di avere contribuito alla legge sul testamento biologico, approvata nel 2017, che porta il mio nome.
Come ha conosciuto la canapa? Qual è stato in generale il suo primo approccio a questa pianta?
La storia della canapa è legata alla mia famiglia: mio nonno materno era operaio e agricoltore e, come molti, aveva un piccolo campo di canapa che era fondamentale per i bisogni della famiglia. Forse anche per questo, durante il mio primo mandato, quando si è creato l’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, ho deciso di farne parte. Allora ero membro della commissione Sanità alla Camera e ho seguito la parte sanitaria della proposta, che poi è stata inserita nella legge di bilancio. Da quel momento ho iniziato a interessarmi al tema e, più lo approfondivo, più capivo quanto fosse importante mettervi mano.
Nella legislatura successiva, rieletto al Senato, sono stato referente del M5S per il tema. Ho presentato due proposte di legge per la legalizzazione: una mia con lo scopo di depenalizzare l’autoproduzione, e una elaborata dal Manifesto Collettivo per la Cannabis Libera, un collettivo di associazioni di cui sono stato il terminale in Parlamento. Ho anche depositato un disegno di legge e svariati emendamenti per regolamentare la vendita delle infiorescenze di canapa industriale, la cosiddetta “cannabis light”. Sono riuscito a ottenerne l’approvazione, ma la Presidente del Senato si è messa di mezzo, bloccando il provvedimento. Infine, sono stato membro del comitato promotore del referendum sulla cannabis, bocciato arbitrariamente dal Presidente Amato.
Perché ha deciso di scrivere questo libro? Cosa l’ha spinta più di tutto?
Ho trattato tanti temi in Parlamento, molti delicati, come il fine vita o il gioco d’azzardo patologico, ma di tutti, quello che mi è rimasto maggiormente nel cuore è la canapa.
Studiando questa pianta straordinaria e la sua storia, incontrando i malati che la utilizzano, confrontandomi con agricoltori coraggiosi e imprenditori temerari, ho capito quanto potrebbe dare questa pianta in termini di salute, diritti, tutela dell’ambiente, contrasto alla criminalità organizzata e quanto potrebbe essere un volano per la stanca economia del nostro Paese.

Solo il settore della canapa light, senza una filiera, senza una legislazione chiara e senza aiuti, ha generato migliaia di aziende e milioni di euro di indotto. Tutto ciò è messo a rischio dalla miopia della politica italiana.
Il pregiudizio sulla canapa e le falsità create ad arte negli Stati Uniti quasi 90 anni fa sono arrivate fino a noi oggi, e l’unico modo di spazzarle via è con i fatti, con la verità. Fare informazione, come fate voi ogni giorno, come fanno gli agricoltori che preservano la pianta e la fanno conoscere, è il modo migliore per liberarla. “Una pianta ci salverà”, il mio libro, è il mio piccolo contributo a questa battaglia collettiva.
Cosa pensa dell’attuale situazione politica e sociale italiana riguardo la canapa?
Basterebbe davvero poco per dare davvero tanto. È quello che più mi brucia degli anni in Parlamento. Basterebbero pochi aggiustamenti per garantire ai malati il diritto di curarsi, per dare uno schiaffo da quasi sei miliardi alla criminalità organizzata, per tutelare la salute dei consumatori e per rilanciare un settore che darebbe ossigeno all’economia di tutto il Paese.
Non lo si fa perché, come spiego nel libro, l’approccio di tutti i partiti che siedono in Parlamento – nessuno escluso – è ideologico, non pratico. Finché il tema sarà utilizzato come una bandierina politica da una parte e dall’altra, non andremo da nessuna parte.
Un suo parere su cosa ci riserverà il futuro del settore canapicolo italiano nei prossimi anni? Politicamente e socialmente.
Nonostante tutto, sono molto fiducioso, per due motivi. Primo, gli operatori del settore non si sono mai arresi, nonostante l’immobilità dei governi precedenti e la palese ostilità dell’attuale. Secondo, il panorama internazionale va nella direzione della regolamentazione del settore e anche il nostro Paese, presto o tardi, dovrà adeguarsi.
Non è un caso quello che è successo in questi ultimi giorni: un parlamentare europeo di FI, ex esponente di spicco della Lega, si è espresso a sostegno della regolamentazione della vendita dei fiori di canapa industriale. Fa venire l’orticaria l’ipocrisia del personaggio, visto che il suo partito fa parte della maggioranza che ha vietato la vendita delle infiorescenze. Ma è chiaro che, fuori dal contesto ottuso e bigotto italiano, confrontandosi con altre realtà, la stupidità delle nostre leggi salta all’occhio.
Sono convinto che presto la propaganda dovrà lasciare il posto al buonsenso. Nel frattempo, però, migliaia di imprenditori, che chiedono solo norme chiare per poter lavorare, sono trattati alla stregua di narcotrafficanti. È una profonda ingiustizia e posso dirvi solo: tenete duro, la vostra perseveranza è eroica, e sono certo che presto sarà premiata.

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