ITALIA

Canapa italiana: oggi verrà depositato il primo ricorso contro il Decreto Sicurezza

Un nuovo fronte giuridico si apre contro il Decreto Sicurezza del governo Meloni, che colpisce duramente il comparto della canapa industriale italiana. Il provvedimento, infatti, secondo le imprese del settore, sarebbe stato adottato senza la necessaria comunicazione preventiva alla Commissione europea, configurando una potenziale violazione delle direttive comunitarie.

L’iniziativa legale – promossa dalle associazioni Canapa Sativa Italia (CSI), Imprenditori Canapa Italia (ICI), Sardinia Cannabis e Resilienza Italia Onlus – si concretizzerà oggi con il deposito formale di una richiesta di accertamento davanti alla Corte d’Appello di Firenze. Il ricorso è stato affidato agli avvocati Giacomo Bulleri e Giuseppe Libutti e segna l’inizio di una battaglia giudiziaria destinata ad avere ripercussioni nazionali.

La questione ruota attorno all’articolo 18 del decreto sicurezza, che vieta una lunga serie di attività legate alla canapa, comprese la coltivazione, lavorazione e commercializzazione delle infiorescenze, anche quando esse rispettino i limiti di THC previsti dalla normativa europea (inferiore allo 0,3%). Una misura che, secondo il governo, mira a tutelare la sicurezza pubblica e stradale. Ma gli imprenditori denunciano che si tratta di una criminalizzazione di un prodotto legale, non psicoattivo, e ampiamente diffuso in altri paesi dell’Unione.

La preoccupazione degli operatori del settore è concreta: in gioco ci sono circa 30.000 posti di lavoro – tra dipendenti fissi e stagionali – e oltre 3.000 imprese attive nella filiera, tra cui aziende agricole, trasformatori e rivenditori. Molti imprenditori stanno già valutando la chiusura o il trasferimento delle attività all’estero.

Nel ricorso si evidenzia un punto chiave: l’omissione da parte dell’esecutivo italiano della notifica obbligatoria alla Commissione europea, così come previsto dalla direttiva (UE) 2015/1535 sulla trasparenza del mercato unico. Tale normativa impone agli Stati membri di informare preventivamente Bruxelles qualora intendano adottare misure tecniche che possano incidere sugli scambi commerciali. In assenza di tale notifica, l’adozione della norma dovrebbe essere sospesa per almeno tre mesi – una finestra temporale in cui altri paesi possono sollevare obiezioni.

Il precedente più recente è quello della legge sul divieto della carne coltivata: approvata senza attendere l’esito della procedura comunitaria, è stata successivamente oggetto di rilievi da parte della Commissione. In quel caso, tuttavia, la norma aveva impatti più limitati, poiché il prodotto non era ancora disponibile sul mercato. Nel caso della canapa, invece, si tratta di una filiera già strutturata e attiva.

A dare ulteriore impulso all’iniziativa legale è stata una comunicazione formale da parte della Direzione Generale per il Mercato Interno della Commissione europea, datata 11 aprile e indirizzata al presidente di ICI, Raffaele Desiante. Nella nota, i funzionari UE richiamano la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui i privati possono invocare la mancata notifica dinanzi ai tribunali nazionali, i quali, in presenza di violazioni, sono tenuti a non applicare le disposizioni contestate.

Quindi: se il giudice dovesse accertare che il governo italiano ha introdotto l’articolo 18 senza rispettare gli obblighi europei, quella norma potrebbe essere disapplicata. Un esito che riaprirebbe spiragli per la sopravvivenza del comparto canapicolo.

Il primo atto pubblico della mobilitazione avverrà martedì, alla Camera dei deputati, con una conferenza stampa convocata dall’onorevole Stefano Vaccari (Partito Democratico), capogruppo in Commissione Agricoltura. Un momento di confronto istituzionale, ma anche l’inizio formale di una vertenza che mette al centro temi come la coerenza normativa, la tutela del lavoro e il rispetto del diritto europeo.

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